Pubblico una bellissima riflessione del dottor Andrea Gardini, pediatra, sostenitore della Slow Medicine
Che qualcuno prenda il coraggio a due mani e dire che il consumismo è finito
La fortuna di avere quasi 70 anni, di essere medico e di aver vissuto un periodo intenso e difficile fra la fine degli anni ’60 e tutti gli anni ‘70, e poi tutta una vita di cura per gli altri è un grande vantaggio per farsi un’idea, non conclusiva, su quello che sta succedendo alla Terra depredata dalla specie umana e alla specie umana stessa e che la pandemia da Covid-19 ha scoperchiato.
Se nel ’68 e dintorni stavi dalla parte giusta, quella che guardava oltre, che voleva cambiare il mondo, non potevi che essere vicino agli operai, in Italia, deportati con i treni dal Sud a vivere nella nebbia e nella rabbia della catena di montaggio in Piemonte o in Lombardia per quattro lire e ai contadini, quei pochi che erano rimasti, spesso perdenti nella battaglia per l’occupazione delle terre lasciate incolte dai latifondisti e di fatto ancora sfruttati con i grossisti che pagano una miseria, come adesso, i mesi di lavoro e di cura del loro podere. Chi non si adattava alle dure condizioni di vita finiva emarginato, in pasto alla malavita organizzata, sempre presente allora come ora, con soggiorni in galera o in manicomio. O emigrava.
Quella stagione portò però a delle belle leggi: la riforma del diritto di famiglia, la legge sulla maternità consapevole e l’interruzione volontaria della gravidanza, quella sulla salute mentale, la riforma sanitaria, con la quale vennero eliminate le mutue, che avevano deficit spaventosi (di cui nessuno oggi si ricorda, riproponendole a scopo speculativo), che lo Stato si accollò nel fondare il Servizio Sanitario Nazionale, pubblico e universale. Finalmente tutti i cittadini italiani potevano accedere ai servizi sanitari senza dover pagare nulla (perchè avevano – e hanno – già pagato i servizi con le loro tasse).
Ci fu un dibattito molto forte in Parlamento in quel periodo, si era appena usciti dalla strategia della tensione e si stava entrando nel pieno degli anni del terrorismo, culminati nell’assassinio di Aldo Moro, che impedì l’ingresso dei comunisti al governo, a fianco della Democrazia Cristiana e del Partito Socialista. Berlinguer, in quei tempi difficili fece un discorso importante in cui metteva in guardia il Parlamento ed i cittadini italiani dalle lusinghe della società dei consumi. Fu un discorso che ricordo ancora per la sua inusitata durezza, e forse proprio per quello. Nello stesso tempo Pier Paolo Pasolini pubblicava sul Corriere della Sera i suoi Scritti Corsari, che denunciavano con non celata angoscia la fine di una cultura, quella contadina, quella popolare, e l’inizio di un periodo dedicato al consumo, alla rottura fra generazioni e fra territori, alla mercificazione di ogni cosa e la battaglia continua fra competitori sfrenati e senza scrupoli, senza etica, compassione, solidarietà, attratti solo dal dio denaro e i suoi lustrini, spinti dal proprio narcisismo. Anche per questo fu ammazzato. Mogol faceva dire ai Rokes: “Il denaro ed il potere sono trappole mortali che per tanto e tanto tempo han funzionato”.
Il colpo di stato di Pinochet in Cile a noi, italiani in formazione, sembrò essere una spinta violenta per dare più forza al dio mercato, ai ricchi che lo sostennero e che si macchiarono del sangue dei ragazzi cileni, nostri coetanei. Ma pur tuttavia Berlinguer e Pasolini ci parevano quasi un po’ esagerati. Purtroppo, lo si vede adesso, non era così.
Fa impressione ricordare questi fatti oggi, in tempo di pandemia, quasi cinquant’anni dopo.
Quello che abbiamo sotto gli occhi, da febbraio in poi, è esattamente la conseguenza di quell’inesorabile e infrenabile inizio. Adesso si vede, si tocca con mano come quella che i marxisti di allora chiamavano “la contraddizione fra salute ed economia” sia oggi nel suo più fulgido splendore. Chi cerca di superarla non in chiave di dualismo ma con una visione di sistema – “Si salva l’economia se si salva la salute del pianeta e delle persone” – si è trovato contro (quasi) tutti, in maniera inattesa, in occasione dell’aggressione della pandemia, di fronte ad una situazione multiforme e difficilissima da comprendere sulle prime, e anche sulle seconde. Sembra impossibile: un governo nazionale che fa proprio uno slogan “Prima la salute, dopo il mercato” e infetta con questo slogan tutta l’Europa egoista, liberista, ma spaventata. Poi dice: “ Senza salute non c’è economia”; altro slogan forte che mette in discussione tutti i 50 anni precedenti. Ma in quale contesto operano questi governanti? Due osservazioni.
Prima osservazione
Siete in isolamento obbligato o volontario? Accendete il televisore con il digitale terrestre, quello alla portata di tutti. Che cosa vedete? Intanto che la gente muore di Covid-19, i vecchi soli ed abbandonati negli ospedali blindati male, nelle case di riposo piene come allevamenti di polli, dove la fine annunciata viene anticipata dal virus, dove medici e infermieri fanno turni massacranti. I soldati portano via i morti nei carri militari, 180 medici e altrettanti infermieri – non protetti da chi prima li esaltava con baggianate del tipo “risorse umane insostituibili” – cadono ammalati e muoiono. L’elettrodomestico continua, come se niente fosse, a trasmettere pubblicità inframezzata da notizie urlate (ma quanto urlano questi giornalisti, come i pescivendoli o gli imbonitori da luna park), cuochi di fattezze e cadenze variabili di tutti i sessi continuano a videocucinare per contratto la loro pornografia gastronomica, vecchi film con “pistole che corrono e cavalli che sparano”, gialli con assassini seriali che uccidono nei posti più impensati, poliziotti che indagano, picchiano, sparano e signore in giallo che ovunque vadano portano sfortuna, mistero e morte, concorsi quotidiani a quiz che erogano soldoni per competenze risibili.
Ma la cosa che salta all’occhio dell’utente non usuale dell’elettrodomestico sono gli spot pubblicitari ossessivi, trasmessi ogni 10-15 minuti. Ci sono anche finti dibattiti incandescenti con i soliti cretini che arringano folle plaudenti a comando, famiglie sfondate che raccontano i fatti loro a tutto il mondo, senza dignità, pudore, ma, si sa, ben pagate, ma sempre, ogni 10-15’, pubblicità, battente, pervasiva. La pubblicità televisiva in tempo di Covid-19 non si è fermata, anzi, ha triplicato il suo potenziale (la gente, chiusa in casa, sta più tempo davanti all’elettrodomestico). Ti passano davanti in sequenze apparentemente casuali ma ordinate per fasce d’ascolto, pannolini per bambini e per donne che se la fanno addosso, preparati per la prostata e per pance gonfie, bevande gassate, ricerca di soldi per studi sui portatori di handicap messi in mostra senza rispetto, mutande, acqua salata per lavare il naso, integratori per “rinforzare l’immunità”, macchine veloci per scappar via dalla pandemia, capsule inquinanti per le macchinette da caffè, divani a costi incredibilmente bassi, mulini con galline che senza mutande zampettano da un biscotto all’altro (ettecredo che c’è la pandemia, con queste condizioni igienico-sanitarie fatte sistema, le galline libere in un mulino che è pure forno abusivo… che schifo… chiamate i NAS!).
Seconda osservazione
Alla voce “consumismo” su Wikipedia (facciamola semplice, ma Wikipedia va sostenuta, perché è una fonte controllata collettivamente, un patrimonio dell’umanità) troviamo questo scritto:
Nel 1899, Thorstein Veblen nel suo saggio The Theory of the Leisure Class, esamina i valori e le istituzioni diffuse su larga scala con l’apparizione, lo sviluppo e l’estensione del concetto di “tempo libero” a partire dall’inizio del XX secolo. L’autore introduce il concetto di ‘consumo vistoso’ per descrivere la propensione ad acquistare beni apprezzati non tanto per il loro valore intrinseco, quanto per l’attribuzione di status sociale di classe agiata, che dal loro possesso può derivare… In ambito sociologico e politico, sono state espresse numerose teorie critiche della società dei consumi, vista come aspetto degenerativo delle moderne società di massa. La concezione della società tecnologica come sistema totalizzante, che massifica i comportamenti degli individui nei modelli di mercato, portò Herbert Marcuse alla critica radicale della “società affluente” e dei suoi strumenti di repressione collettiva. Gli stessi temi, ripresi dagli autori della scuola di Francoforte (Horkheimer, Adorno, Habermas) hanno ispirato movimenti di protesta contro il consumismo negli anni Sessanta, ma anche successivamente sono evocati nella critica e nella mobilitazione contro la globalizzazione.
Inoltre, sempre in sociologia, il termine può descrivere gli effetti dell’identificazione, vera o presunta, della felicità personale con l’acquisto, il possesso e il consumo continuo di beni materiali, generalmente favorito dalla moda o dalla pubblicità.
Quest’ultima frase fa saltare sulla sedia.
Non invidio chi sta al governo e capisco chi, stando all’opposizione nel Paese, in ottimi rapporti con quelli che una volta si chiamavano “padroni” e oggi “imprenditori”, governa quasi tutte le regioni promuovendo il consumo sfrenato di ogni cosa, dal suolo ai veleni per l’agricoltura industriale, senza sosta e dignità, senza mascherine, senza ritegno, ma per il proprio smisurato e insindacabile potere, anche contro la legalità costituzionale, la salute dei cittadini, il buon senso e, a volte, il comune senso del pudore.
Nel corso delle generazioni il “consumismo” è diventato parte preponderante dell’identità degli uomini e delle donne di questo e di altri Paesi. Fin dalla più tenera età, attraverso i cartoni animati, migliaia di spot televisivi, i giochi elettronici e i talk show si viene sottoposti alla pedagogia diffusa che induce i comportamenti competitivi e consumistici che a 5 anni ti fanno urlare in supermercato che vuoi il tal giochino, a 10 anni ti fanno pretendere lo smartphone figo, in un’età in cui si giocava a pallone liberi nei prati e nelle radure di periferia, a 12 ti fanno entrare nelle squadrette di sport dilettantistici dove ti vestono all’ultima moda per tirare gli stessi calci a palloni firmati, e tutti pretendono da te che diventi un campione, un oggetto competitivo da consumare meglio. Fin da piccolo ti mandano a studiare in scuole dove le nozioni impartite con lezioni frontali (pedagogicamente inutili) sembrano più importanti delle relazioni e delle connessioni, e si possono facilmente replicare nelle lezioni non in presenza. Se hai soldi e fortuna ti fanno studiare alle università dove la competizione è alle stelle, i finanziamenti statali sono pochi e si vivacchia di finanziamenti delle grandi industrie, che poi ti impongono argomenti, ricerca, compromessi a i fini del mercato, non della conoscenza e della cultura. Se vuoi lavorare ti buttano nel mondo del lavoro come stagista o apprendista pagandoti il minimo per la sopravvivenza solo se stai alle regole imposte da chi ti paga e, se sei donna, spesso ti ricattano sessualmente. Alla fine della settimana frustrato/a e triste, ti fai, a seconda del reddito e della cultura d’origine, di apericene, sprizconlap, mojitos. Sogni, impotente, vacanze da sballo in isole sperdute da sporcare, tiri fin tardi e se non ce la fai ti trovi un pusher per tenerti su, e sei maschio trovi una ragazza che ti piace la vuoi possedere come tua unica proprietà. Se non le sta bene la picchi, la violenti o la uccidi. Poi vai in curva a tifare per… Estremizzo, non succede a tutti così, ma forse ci aiuta per capire come mai alcuni giovani vanno in piazza assoldati dal primo sponsor o ideologo da strapazzo di un passato da mai più ripetere, a spaccar vetrine? Per fortuna sono la minoranza, ma se diventano maggioranza, che succede?
Chiudere una città o un paese con un isolamento fatto bene per evitare che in molti di più si ammalino, intasino gli ospedali o muoiano è responsabilità, ancora, del sindaco. Facendosi eleggere non lo sapeva, e non era capace di farlo. Per la prima volta dopo 50 anni, è una decisione che va contro la società dei consumi che lo ha eletto, quel sindaco, e contro le dipendenze che questo sistema ha creato nei comportamenti di ciascuno di noi, dipendenti dalla birretta con gli amici, la sigaretta, lo spritz, il calcetto, la cena, la balera dopo mezzanotte a tirar mattina, che, se non ce la fai, il pusher è lì ad aiutarti. E se non hai soldi come succede sempre a più persone che stavano superando a razzo la soglia della povertà ancor prima del virus, ti buttiamo via. “Non sei più indispensabile allo sforzo produttivo”.
Che qualcuno prenda il coraggio a due mani e dica: “Il consumismo è finito! Andate in pace”.
Nel giro di poco tempo e con qualche piccola resistenza, anche di Covid-19 non si sentirebbe più parlare. Qualcuno l’ha già fatto: Francesco, Carlin, Greta, Jane, Joan, alleati per dire “basta” agli speculatori che pensano di dominare il mondo, e che, di fronte ad un virus ci dimostrano la loro inutilità.
Post scriptum
Non sembra possibile, non è proprio così…? In effetti la situazione è molto più complessa; come ve l’ho presentata io è un po’ sempliciotta… ma… pensateci un po’ su. Quando qualcuno dice: “Nulla sarà come prima”… che cosa intende veramente?
L’articolo si trova qui
https://wsimag.com/it/economia-e-politica/64032-nulla-sara-come-prima?fbclid=IwAR3J1Z0hvnvR6a9YfVJxU-DWFRdLtx5Lxah82RYeeFQNM30i1umIt2feJvg